Rezension über:

Henry Keazor: "Il vero modo". Die Malereireform der Carracci (= Neue Frankfurter Forschungen zur Kunst; Bd. 5), Berlin: Gebr. Mann Verlag 2007, 343 S., 32 Farbtafeln, ISBN 978-3-7861-2561-7, EUR 69,00
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Rezension von:
Cecilia Mazzetti
Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Rom / Bibliotheca Hertziana - Max-Planck-Institut für Kunstgeschichte
Redaktionelle Betreuung:
Cristina Ruggero
Empfohlene Zitierweise:
Cecilia Mazzetti: Rezension von: Henry Keazor: "Il vero modo". Die Malereireform der Carracci, Berlin: Gebr. Mann Verlag 2007, in: sehepunkte 8 (2008), Nr. 10 [15.10.2008], URL: https://www.sehepunkte.de
/2008/10/14229.html


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Henry Keazor: "Il vero modo"

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Con il volume frutto della tesi di abilitazione sostenuta presso l'Università J. W. Goethe di Francoforte, Henry Keazor torna su di un argomento che aveva già affrontato nella sua preziosa edizione tedesca delle postille dei Carracci [1], adottando un taglio più esplicitamente critico. Oggetto dell'analisi è la cosiddetta "riforma" dei Carracci, quell'impulso a superare gli artifici della Maniera attraverso la riconsiderazione dei modelli e la verifica di questi sul naturale, che Ludovico Carracci con i suoi cugini Agostino ed Annibale, forti del loro essere già in partenza un gruppo e poi della loro scuola frequentata da grandi talenti, misero in atto a Bologna determinando l'avvio di una nuova grande stagione della pittura moderna, che conteneva in sé i princìpi insieme del classicismo e del barocco. Keazor indica chiaramente come il terreno della sua indagine sia l'attività bolognese dei tre, e si sofferma sulle ragioni e sulle dinamiche iniziali del fenomeno.

Lo studio è diviso in due parti. Una prima ne esamina i princìpi così come emergono dalle fonti e dalla bibliografia. La scelta di accostare su un piano paritetico critica antica e moderna è innovativa: le biografie vengono lette nella loro qualità di "discorso" sull'artista e sull'opera, e in tale ottica possiedono il medesimo statuto della critica del Novecento. Ma ciò comporta un deprezzamento del valore di testimonianza delle fonti - peraltro sempre viste come problematiche da parte della critica - che forse richiederebbe maggiore cautela: in fondo è da lì che emerge la cognizione iniziale della riforma dei Carracci. L'impostazione impone inoltre una selezione degli scritti da analizzare: alle opposte prospettive del bolognese Malvasia, che di Ludovico fa l'eroe della patria, e del Bellori, che articola le Vite intorno al trionfo di Annibale nel suo periodo romano, fa riscontro la discussione degli studi di Charles Dempsey [2], Anton W. A. Boschloo [3], e Carl Goldstein [4], ritenuti quelli che più espressamente hanno affrontato il problema della definizione e dei contorni della riforma. Le ragioni della scelta in questo caso vengono chiarite ex negativo, quando, a proposito del pur fondamentale studio di Donald Posner [5], si afferma che a dispetto del titolo, l'argomento non sia sufficientemente indagato. Ma la scelta risiede anche nell'impasse critico creatosi tra gli studi citati, che anche quando partono da assunti simili approdano a conclusioni distanti l'una dall'altra, e non scevre da reciproche polemiche. Tuttavia non si può certo dire che la riforma dei Carracci non abbia ricevuto attenzione dalla critica. L'argomento è anzi, uno dei fondamentali nella storia dell'arte italiana, e nonostante una ricca bibliografia non sembra esaurito, come mostrano gli studi anche recentissimi dedicati ai tre bolognesi: i lavori sui disegni [6], una mostra [7], le indagini sugli aspetti documentari [8], una nuova monografia su Annibale [9], per citarne solo alcuni. Sono ancora suscettibili di chiarimenti aspetti teorici e circostanze storiche della produzione dei Carracci, così come ancora si discute di cronologia e di attribuzioni. [10]

La seconda parte del volume prende in esame le ragioni storiche e stilistiche della riforma, secondo una periodizzazione fondata sulle opere. Keazor individua una prima fase all'interno di un momento iniziale della riforma, e la esamina in tre tempi (1581-1584; 1583-1584; 1585-1588). La seconda fase di questa che chiama "protoriforma" è spiegata attraverso l'analisi degli affreschi con le storie di Enea a Palazzo Fava e del grande fregio di Palazzo Magnani, e si colloca dunque fra il 1589 e il 1591-1592. Solo dopo aver discusso le opere di quegli anni Keazor affronta lo stile di quella che definisce riforma vera e propria, e conclude poi con il suo compimento. Nello svolgersi della discussione Keazor inserisce due intermezzi che tirano le fila del discorso, essendo il primo - una considerazione estetico-psicanalitica della creatività in rapporto alla società - la premessa necessaria alla comprensione del secondo - una valutazione degli apporti creativi della riforma.

Dunque ciò che è analizzato sotto un profilo teorico alla luce delle fonti e degli studi nella prima parte, nella seconda viene concretamente verificato sulle opere, con l'intento dichiarato (120) di tener presente alcuni snodi concettuali di estrema importanza: il rapporto tra natura e antico, la libertà creativa richiesta all'artista, l'uso del colore e del chiaroscuro (su cui si imperniava la spiegazione della riforma fornita da Dempsey), le imprese collettive dei tre artisti, il principio del "misto", ovvero della ripresa e combinazione di diversi modelli, e le sue conseguenze. Superando l'ottica partigiana di Bellori e Malvasia, lo studioso afferma la giusta necessità di analizzare la riforma come esito delle riflessioni distinte di tutti e tre gli artisti. L'esame si fa convincente, allorché Keazor, pur impostando la struttura del libro in una netta divisione tra critica e pratica pittorica, nella seconda parte richiama efficacemente per confronto e verifica, nel mentre dell'analisi dei dipinti e dei loro modelli (Michelangelo, la pittura emiliana e veneta, talvolta bresciana, l'antico, il decorum raffaellesco), le affermazioni delle fonti, Bellori e Malvasia in primo luogo, ma anche le altre fonti seicentesche che informano sui Carracci, con l'unica eccezione della Teutsche Academie di Sandrart che rimane esclusa dalla valutazione. Sebbene tenuta presente, resta invece un po' nell'ombra l'intensa pratica del disegno dal naturale operata dai Carracci a Bologna, quell'attenzione non al vernacolo, quanto all'umanità nella sua interezza, che innervò di energia l'uso dei modelli fatto in diverso modo da Ludovico, Annibale ed Agostino.

La verifica degli assunti critici divenuti topoi storiografici, ovvero delle opposizioni Disegno/Colore, Natura/Antico, Ideale/Reale approda in qualche modo ad una loro demolizione, quando Keazor analizza le opere bolognesi e le mette in rapporto con il contesto contemporaneo. Emerge allora come tutti e tre stabiliscano un rapporto fecondo con i predecessori, come Ludovico per elaborare un linguaggio nuovo sfrutti quelle strategie manieristiche che la tradizione critica ritiene bersaglio polemico dei Carracci, come dai modelli veneziani vengano sfruttati spunti compositivi e drammaturgici, ma non il colorito, che segue invece maggiormente la tradizione locale da Correggio a Raffaello, come per forma e modellato venga studiato l'antico ma anche quel Michelangelo possente che aveva dato l'avvio alla Maniera. Emerge soprattutto come inizialmente i due fratelli e il cugino non si pongano in opposizione con il loro ambiente, ma tentino una progressiva emancipazione dal proprio tempo mediante il ritorno al passato, e solo in seguito esplorino nuove soluzioni, avviando un processo di distinzione dei rispettivi linguaggi che si compirà con le imprese romane. È lo stesso ideale della riforma, la quale, dal confronto e dall'uso libero e creativo di diversi modelli, tende a promuovere la conquista di un idioma personale e di un "modo" adeguato ad ogni soggetto anziché di uno stile uniformato, a costituire le condizioni feconde per l'affermarsi degli allievi, tutti di gran talento e ricchi di differenze l'un con l'altro: la riforma si è compiuta ed una nuova stagione del Seicento trionfante dirama il suo linguaggio a più voci da Roma in tutta Europa.


Note:

[1] H. Keazor: "Distruggere la maniera?": die Carracci-Postille, Freiburg im Breisgau 2002.

[2] C. Dempsey: Annibale Carracci and the beginnings of baroque style, prima ed. Harvard 1977, seconda ed. Fiesole 2000.

[3] A. W. A. Boschloo: Annibale Carracci in Bologna: visible reality in art after the Council of Trent, 's-Gravenhage 1974.

[4] C. Goldstein: Visual fact over verbal fiction: a study of the Carracci and the criticism, theory, and practice of art in Renaissance and baroque Italy, Cambridge 1988.

[5] D. Posner: Annibale Carracci: a study in the reform of Italian painting around 1590, 2 vol., New York 1971.

[6] C. Loisel: Inventaire général des dessins italiens. Tome 7ème: Ludovico, Agostino, Annibale Carracci, Musée du Louvre, Cabinet des Dessins, Paris 2004; B. Bohn: Ludovico Carracci and the art of drawing, London 2004.

[7] Annibale Carracci, catalogo della mostra a cura di D. Benati, E. Riccomini, Bologna-Roma 2006-2007.

[8] M. C. Terzaghi: Caravaggio, Annibale Carracci, Guido Reni tra le ricevute del Banco Herrera & Costa, Roma 2007.

[9] C. Robertson: The Invention of Annibale Carracci (Studi della Bibliotheca Hertziana, 4), Milano 2008.

[10] Si pensi alle date dell'intervento di Annibale a Palazzo Farnese, messe in discussione da S. Ginzburg: Annibale Carracci a Roma: gli affreschi di Palazzo Farnese, Roma 2000.

Cecilia Mazzetti