Rezension über:

Federico Navire: Torino come centro di sviluppo culturale. Un contributo agli studi della civiltà italiana (= Sprachen Literaturen Kulturen; Bd. 1), Frankfurt a.M. [u.a.]: Peter Lang 2009, 628 S., ISBN 978-3-631-59130-7, EUR 96,80
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Rezension von:
Paolo Cozzo
Dipartimento di Storia, Università di Torino
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Schnettger
Empfohlene Zitierweise:
Paolo Cozzo: Rezension von: Federico Navire: Torino come centro di sviluppo culturale. Un contributo agli studi della civiltà italiana, Frankfurt a.M. [u.a.]: Peter Lang 2009, in: sehepunkte 10 (2010), Nr. 7/8 [15.07.2010], URL: https://www.sehepunkte.de
/2010/07/17650.html


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Federico Navire: Torino come centro di sviluppo culturale

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Questo corposo lavoro rappresenta un significativo contributo alla "Landeskunde", un settore disciplinare sviluppatosi in Germania nella seconda metà del Novecento. Nata con l'intento di diffondere la conoscenza delle culture di altri paesi nelle scuole e nelle università tedesche, proprio negli anni nei quali si andava affermando, con più forza e convinzione, il processo di integrazione europea, la "Landeskunde" ha poi assunto una sua propria fisionomia sempre più svincolata dalla natura "pratica" che ne aveva caratterizzato le origini. Non a caso, se inizialmente la disciplina aveva privilegiato specifici ambiti geopolitici e culturali (la Francia, la sua lingua e letteratura, la sua "civilisation"), col tempo si è assistito ad un progressivo ampliamento dei contesti nei quali la "Landeskunde" poteva esprimere le sue potenzialità. L'Italia è così divenuta oggetto di interesse per gli studiosi di questa disciplina, specialmente sul versante della letteratura otto-novecentesca che appariva un ottimo strumento per "facilitare la comprensione di difficili e complessi temi della civiltà italiana" (509). Uno strumento tuttavia non esaustivo, alla luce "der besonderen europäischen Dimension der italienischen Kunst und Kultur" e della conseguente necessità di integrare "Betrachtung literarischer und allgemein künstlerischer Phänomene in der historischen und sozialen wie wirtschaftlichen Kontextualisierung zur Deutung gesellschaftlicher und mentalitätsgeschichtlicher Entwicklungen" (Anne Begenat-Neuschäfer, Zum Geleit, 16-17). Da qui la tendenza, propria degli ultimi anni, ad arricchire la "Landeskunde" con nuovi approcci incentrati sulla storia della penisola; e in particolare sulla storia di una sua peculiarità, analizzata e descritta (nei suoi spazi, i suoi paesaggi, i suoi ritmi, le sue istituzioni) come quintessenza della civiltà italiana: la città.

La città che Navire prende in considerazione è tuttavia una realtà particolare. Torino è infatti una città complessa, che a stento può essere ricompresa nei canoni della tradizione urbana italiana. Città di fondazione romana, nel medioevo Torino è un comune di piccole dimensioni che non riesce a competere con altri centri urbani dell'Italia centrosettentrionale e dello stesso Piemonte. E tuttavia è questa città che viene scelta dai Savoia, sin dal XV secolo (lo ha spiegato molto efficacemente, qualche anno fa, Alessandro Barbero), come baricentro dei loro domini al di qua delle Alpi e, in una prospettiva più ampia, dell'intero ducato. Nel legame con la dinastia sabauda va dunque trovata la chiave del "successo" di Torino che dal tardo Cinquecento inizia a manifestare, anche nell'assetto urbanistico e architettonico, la sua supremazia sulle altre città di Piemonte e Savoia. E' in questa fase della sua storia che Torino "impara" ad essere capitale, assumendo cioè un'identità che, com'ebbe a ricordare anche uno dei massimi studiosi della città europea, Marino Berengo (un autore che, stranamente, Navire non prende in considerazione), ne faceva un caso unico in tutta la penisola. Capitale del ducato di Savoia, del regno di Sardegna e poi, per pochi anni, del regno d'Italia: quella di Torino è la storia di un primato istituzionale che, nonostante il rapporto privilegiato con la dinastia, non riesce a consolidarsi nel tempo. Navire ripercorre questa lunga vicenda ricorrendo ad un apparato bibliografico ricco ma non esaustivo e non sempre aggiornato, che tende a privilegiare una periodizzazione piuttosto rigida, basata più sugli avvicendamenti dinastici che sugli snodi cruciali della storia di Torino. L'eco di un'opera che nella storiografia sulla città ha rappresentato una sorta di spartiacque (la Storia di Torino promossa dall'Accademia delle Scienze e pubblicata da Einaudi a partire dal 1997) rimane insomma lontana; e anche le riflessioni che da quella grande impresa editoriale sono state ispirate (ad esempio Storia di Torino, storia di citta, a cura di M. Guglielmo, Bologna 2004) sembrano non trovare qui sufficiente riscontro. Nella sua ricostruzione l'Autore si "sbilancia" apertamente sull'età contemporanea, alla quale dedica quasi metà del lavoro. Una scelta, questa, che evidenzia la volontà (o forse la necessità) di individuare nell'Ottocento e nel Novecento i secoli più importanti per lo sviluppo culturale di questa città che, nel giro di pochi decenni, perde il primato politico-istituzionale (con il trasferimento della capitale a Firenze nel 1865) faticosamente raggiunto nel Risorgimento, ma che riesce tuttavia a porre le premesse per acquisire una nuova centralità in ambito economico e industriale. Della Torino otto-novecentesca Navire racconta così l'evoluzione attraverso i suoi uomini più rappresentativi in campo politico (da Camillo Cavour a Luigi Einaudi), industriale (da Giuseppe Pomba a Giovanni Agnelli), letterario (da Francesco de Sanctis a Cesare Pavese), religioso (da Giuseppe Cottolengo a don Bosco), dedicando poi ampio risalto ad alcuni temi ed eventi che permettono di rappresentare degli "spaccati" della vita culturale di Torino. Dai giornali ai teatri, dai caffè ai circoli, dalle gallerie d'arte alle palestre, l'Autore illustra (in queste che sono le pagine più riuscite del lavoro) il dinamismo di una città caratterizzata da un'elevata propensione alla sperimentazione e all'innovazione, in settori diversi (dalla moda al cinema, dalla gastronomia allo sport) dei quali spesso è risultata essere il laboratorio. Certo, in questo affresco di Torino "come centro di sviluppo culturale", curiosamente alcune esperienze fondamentali della storia del Novecento sono appena abbozzate o del tutto taciute. Il caso più evidente è quello della cultura antifascista e dei suoi protagonisti (da Antonio Gramsci a Piero Gobetti, da Massimo Mila a Leone Ginzburg, da Carlo Levi a Norberto Bobbio) che contribuirono a fare di Torino una delle città più refrattarie al regime (e perciò meno amate da Mussolini) e più attive nel movimento di liberazione. Non solo: fu proprio da quell'humus torinese, fertile di idee e di valori, che venne un contributo essenziale alla costruzione della nuova Italia, repubblicana e democratica. E' in base a questo presupposto, rimasto a volte implicito, che l'Autore può concludere il suo lavoro affermando che "Torino potrebbe quindi ancora una volta segnare la strada del Paese che appare in questi anni smarrito e in una profonda crisi culturale ed economica" (514). Forse questa città, "la cui fortuna nei secoli è stata sempre basata su una equilibrata combinazione di conoscenze teoriche e applicazioni pratiche, scienza e tecnica, intraprendenza individuale e ordinato sistema di istituzioni civili e culturali" (515) non ha ancora esaurito tutte le sue potenzialità. Lo hanno dimostrato recenti eventi di richiamo planetario come le Olimpiadi del 2006, che hanno consentito a Torino di acquisire una visibilità mai avuta prima; lo dovrebbero confermare le imminenti celebrazioni per i 150 anni dell'unità d'Italia, che saranno, auspicabilmente, l'occasione per riflettere sulla storia di questa città, sui suoi rapporti con le altre città della penisola e, più in generale, su quello che - citando l'ultimo libro di Giorgio Ruffolo - rimane "un paese troppo lungo".

Paolo Cozzo