Rezension über:

Dennis Pausch (Hg.): Stimmen der Geschichte. Funktionen von Reden in der antiken Historiographie (= Beiträge zur Altertumskunde; Bd. 284), Berlin: de Gruyter 2010, 298 S., ISBN 978-3-11-022417-7, EUR 99,95
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Rezension von:
Roberto Nicolai
Università degli Studi di Roma "La Sapienza", Rom
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Roberto Nicolai: Rezension von: Dennis Pausch (Hg.): Stimmen der Geschichte. Funktionen von Reden in der antiken Historiographie, Berlin: de Gruyter 2010, in: sehepunkte 11 (2011), Nr. 10 [15.10.2011], URL: https://www.sehepunkte.de
/2011/10/19558.html


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Dennis Pausch (Hg.): Stimmen der Geschichte

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Il tema dei discorsi nella storiografia antica è stato rilanciato negli ultimi decenni dal rinnovato interesse per la retorica e, sul fronte opposto, dall'attenzione al rapporto tra realtà fattuale e racconto storiografico. Non sono mancate vivaci polemiche, come quella tra M. H. Hansen e W. K. Pritchett sui discorsi dei generali prima delle battaglie, ed equilibrati tentativi di messa a punto, come lo studio di J. C. Iglesias Zoido sullo stesso tema (The Battle Exhortation in Ancient Rhetoric, "Rhetorica" 25, 2007, 141-158).

Il volume raccoglie i contributi di un incontro di studio organizzato dalla Justus-Liebig-Universität Gießen, che si è tenuto dal 25 al 27 settembre del 2008. Il titolo del volume e i contributi che aprono e chiudono il volume (la Einleitung di Pausch e The Rhetoric of History: Allusion, Intertextuality, and Exemplarity in Historiographical Speeches di Marincola) sono indicativi del tipo di approccio che i vari studiosi, ognuno con la propria sensibilità, hanno utilizzato. Accantonata la questione dell'attendibilità dei discorsi, ci si è concentrati sulla loro funzione, indagata nel contesto delle opere in cui sono inseriti (intendendosi come contesto sia quello immediato del discorso sia il complesso dell'opera, al quale il discorso può essere legato da cross-references e allusioni, sia, infine, il più ampio contesto del genere storiografico e quello ancora più ampio della produzione letteraria precedente) e in rapporto all'effetto dei discorsi sul pubblico delle opere di storia. Particolare attenzione è stata riservata alla reazione dei destinatari dei discorsi, in rapporto con la reazione del pubblico dei lettori. Gli strumenti utilizzati derivano da due ambiti di studi che hanno conosciuto in tempi recenti una notevole fortuna: da una parte la narratologia, applicata alle letterature classiche dopo essere stata ampiamente sperimentata sulla narrativa moderna, dall'altra l'intertestualità. Entrambe queste metodologie critiche corrono il rischio dell'applicazione meccanica: la narratologia può esaurirsi in mera descrizione del testo; l'intertestualità in infinite raccolte di loci paralleli, ai quali manca il requisito fondamentale, quello della necessità del riferimento intertestuale (su questo punto vd. M. G. Bonanno, L'allusione necessaria. Ricerche intertestuali sulla poesia greca e latina, Roma 1990). Entrambi questi rischi possono essere scongiurati mettendo al centro dell'interesse il problema delle funzioni, che, in questa fase degli studi sulle letterature e sulle culture antiche, mi sembra una questione chiave, che impone di coniugare l'approccio storico con quello retorico e più in generale formale.

Un punto particolarmente importante è quello del rapporto tra la voce dello storico e quelle degli attori della storia. La polifonia che nasce dai vari interventi dei personaggi si arricchisce infatti di una voce ulteriore quando emerge una discrepanza tra le ricostruzioni e le analisi dei personaggi e quelle dello storico (Pausch: 6). Questo genere di scarto permette l'accostamento con un altro ambito nel quale si riscontrano discrepanze che generano un guadagno sul piano conoscitivo: mi riferisco agli exempla che possono essere impiegati con funzioni diverse e interpretati in modi diversi e che non coincidono mai perfettamente con la vicenda con la quale sono posti a confronto. Quando in un discorso all'interno di un'opera di storia sono proposti exempla, si può creare uno scarto anche rispetto alla narrazione dell'autore. Gli exempla, su cui si sofferma Marincola, analizzando le Elleniche di Senofonte e il Bellum Catilinae di Sallustio, creano un interessante fenomeno di mise en abîme, in quanto sono narrazioni di fatti all'interno di un contesto più ampio (Marincola: 269 "Thus when a historian recreates a debate in his history or shows a speaker referring to incidents from the past, he is examining, analysing, at times indeed questioning the purpose and value of history itself"). Ma c'è di più: anche i discorsi sono una mise en abîme rispetto al complesso dell'opera. Molto efficace in proposito è la formulazione di Schmitz (62): "We can thus read Thucydides' speeches with their multiple perspectives, their refusal to adhere to one voice, their uneasy polyphony, their complex language, and uneasy style as a mise en abyme of the entire enterprise of Thucydidean historiography". Su questo punto rinvio anche al mio Logos Didaskalos: Direct Speech as a Critical Tool in Thucydides, in G. Rechenauer - V. Pothou (eds.), Thucydides - a violent teacher, Goettingen 2011, 159-169. Merita di essere sottolineato che in storiografia si determina un doppio livello di mise en abîme, con i discorsi all'interno dei quali sono posti gli exempla.

Scendendo in maggiore dettaglio, il tema delle cross-references è affrontato da Scardino, secondo cui il lettore, leggendo i discorsi, è sollecitato a ricordare i commenti di Erodoto (23). La sua analisi narratologica e retorica conduce a un interessante raffronto tra la narrazione della spedizione scitica di Dario e quella della campagna di Serse contro la Grecia: Erodoto gioca sull'analogia e sul contrasto, sulla variazione e sull'incremento (37).

Il rapporto tra il discorso di Mario nel Bellum Iugurthinum e il complesso dell'opera, con particolare riferimento al proemio è sviluppato da Egelhaaf-Gaiser, che si sofferma sulle forme di trasmissione della memoria, un motivo con chiara valenza metaletteraria.

L'intertestualità rispetto a un testo canonico come il dibattito sulle forme di governo in Hdt. 3. 80-82 è approfondita nel contributo di Kuhlmann sui discorsi di Agrippa e Mecenate nel LII libro di Cassio Dione. Come nel caso di Erodoto, anche in Cassio Dione il dibattito appare anacronistico e orientato piuttosto al pubblico dell'opera che non ai destinatari interni. L'intertestualità rispetto a Livio, ma anche all'interno del corpus di Tacito, è oggetto del contributo di Ash sul discorso di Dillio Vocula in Tac. hist. 4. 58. Secondo Ash, Vocula si esprime in modo tale da apparire un attento lettore della narrazione tacitiana (220).

La prospettiva del lettore è valorizzata nel contributo di Schmitz sui discorsi di Cleone e di Diodoto, che evidenzia soprattutto il tema della difficoltà di comunicare e di comprendere che pervade il III libro di Tucidide. Il confronto con il trattamento di questo tema in tragedia (61), e specialmente in Sofocle, merita di essere approfondito.

Il tema della tensione tra reazione dei lettori e reazione dei presunti destinatari interni è sviluppato nel contributo di Tsitsiou-Chelidoni, la quale, a proposito del discorso di Vercingetorige nel VII libro del De bello Gallico, osserva che proprio da questa tensione si genera un'ironia significativa sul piano ideologico (137; 143; 151).

Il rapporto con il contesto della narrazione e l'impatto dei discorsi sui lettori sono oggetto del contributo di Wiater dedicato a Polibio. Secondo Wiater, i discorsi invitano il lettore a distinguere tra un positioning pragmatico e uno retorico e tra le due corrispondenti concezioni del πρέπoν. Se questa interpretazione è ampiamente condivisibile, qualche perplessità sorge a proposito dell'inquadramento della storia all'interno della controversia tra retorica e filosofia sull'educazione all'esercizio del potere. Si tratta di un dibattito sviluppatosi ben prima di Polibio, tra V e IV secolo a.C. (96-98), nel quale è intervenuto Tucidide valorizzando la storia come strumento di educazione politica.

I due aspetti, rapporto con il contesto e impatto sui lettori, sono valorizzati anche nel contributo di Pausch sui discorsi di Livio, che evidenzia i meccanismi di ricapitolazione e di anticipazione e anche la sollecitazione rivolta al lettore e alla sua competenza storica (199). In particolare il lettore è spinto a confrontare la propria reazione a un discorso con quella dei destinatari interni (188).

Tra le altre questioni affrontate segnalo: le differenze di trattamento e di funzione dei discorsi nei vari storici, che emergono dall'analisi; le differenze tra discorsi in oratio recta e discorsi in oratio obliqua (Pausch: 7; Scardino: 19; Tsitsiou-Chelidoni: 136); l'incidenza delle modalità di pubblicazione (pubbliche recitazioni, lettura in piccoli gruppi, lettura individuale) sulle scelte degli storici e sulla ricezione delle loro opere (Leidl: 249 s.).

In conclusione, il volume è ricco di analisi accurate e in grado di stimolare ulteriori ricerche.

L'analisi delle funzioni mi sembra particolarmente feconda, soprattutto nella prospettiva dell'esemplarità, su cui insistono i due contributi conclusivi di Leidl e di Marincola. La dinamica analogica, per cui il lettore è portato a confrontare i fatti narrati con la propria esperienza (Leidl: 248), avvicina la storiografia ad altri generi letterari, nei quali si possono riscontrare fenomeni comparabili. Mi riferisco in particolare alla tragedia, nella quale gli exempla creano una rete di riferimenti con la vicenda portata sulla scena e, attraverso la risposta del pubblico interno (coro, personaggi), rispecchiano l'impatto della tragedia sul pubblico presente nel teatro. Poiché i discorsi svolgono una pluralità di funzioni, l'indagine può portare a stabilire, caso per caso, una gerarchia delle funzioni, analogamente a quanto avviene applicando alla letteratura la teoria della comunicazione di Roman Jakobson.

Roberto Nicolai