Rezension über:

Daniela Dueck: Geography in Classical Antiquity (= Key Themes in Ancient History), Cambridge: Cambridge University Press 2012, XVI + 142 S., 4 s/w-Abb., ISBN 978-0-521-12025-8, GBP 17,99
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Rezension von:
Serena Bianchetti
Dipartimento di Studi Storici e Geographici, UniversitĂ  degli Studi di Firenze
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Serena Bianchetti: Rezension von: Daniela Dueck: Geography in Classical Antiquity, Cambridge: Cambridge University Press 2012, in: sehepunkte 13 (2013), Nr. 1 [15.01.2013], URL: https://www.sehepunkte.de
/2013/01/21481.html


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Daniela Dueck: Geography in Classical Antiquity

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Il breve volume si inserisce nella serie Key Themes in Acient History (ed. by P.A. Cartledge e P.D.A. Garnsey), indirizzata a studenti e a docenti di discipline afferenti all'antichità classica e volta dunque a fornire un quadro sintetico e informato su singoli aspetti del mondo antico.

Il tema centrale e, al contempo, il filo conduttore del lavoro di D. Dueck è costituito dal rapporto dell'uomo greco-romano con lo spazio che lo circonda. Nel capitolo introduttivo l'autrice sottolinea l'ambiguità del termine geographia, che indica tanto la descrizione letteraria quanto il disegno della Terra, e che rende, almeno in parte, ragione del dibattito vivo a tutt'oggi, sulle origini e sulle forme di una "scienza geografica" greca.

E' dunque il concetto di conoscenza geografica legato alle forme di trasmissione e alla loro diffusione che viene prioritariamente esaminato dall'autrice, la quale attribuisce a tre principali processi storici l'impulso all'ampliamento delle conoscenze geografiche: colonizzazione greca arcaica, campagne di Alessandro e espansione dell'impero romano da Augusto a Traiano. L'autrice organizza il materiale non su base cronologica ma in tre sezioni che corrispondono a tre differenti approcci: descrittivo-letterario, scientifico-matematico e cartografico. In rapporto a questa suddivisione risultano esaminate la tradizione letteraria che ci ha trasmesso le testimonianze utili alla ricostruzione del pensiero geografico antico (periploi, itineraria, periegeseis e periodoi ges, chorographiai), la relazione che si pone tra geografia e differenti contesti politici, il rapporto tra geografia greca e geografia romana.

Il secondo capitolo è dedicato alla geografia descrittiva, a partire da Omero il cui mondo risulta piuttosto limitato. La funzione stessa del mito, che lascia intuire paesi ai confini del mondo, appare obbedire alla necessità di disegnare spazi che progressivamente si aprono alla conoscenza per essere poi assimilati a un'idea di ecumene greca che risulta in qualche modo "garantita" dal passaggio o dalla presenza di eroi (Eracle, Prometeo, Perseo, Giasone).

La combinazione di poesia e geografia in testi di contenuto periegetico (Anonimo a Nicomede, Dionisio figlio di Callifonte, Alessandro di Efeso, Dionisio di Alessandria, Avieno) ma anche astronomico (Arato e Manilio) trova una probabile spiegazione nel valore didascalico della poesia, così come il diverso contesto in cui furono prodotte queste opere spiega la scelta di temi e luoghi legati alla politica del tempo.

Nello stesso capitolo dedicato alla geografia descrittiva, l'autrice inserisce un paragrafo dedicato alla tradizione storica, a cominciare da Erodoto il cui ruolo nella storia del pensiero geografico è certo di primo piano, se non altro per le testimonianze riportate sull'organizzazione del mondo e sulle esplorazioni di aree estreme. Il fatto tuttavia che a Erodoto sia dedicato spazio sia nella rapida successione delle fonti storiche che presentano un'attenzione ad aspetti geografici (Senofonte, Ctesia, Megastene, Deimaco, Polibio, Posidonio, Strabone, Giuba, Dione Cassio, Ammiano Marcellino,Sallustio, Cesare, Augusto, Mela, Tacito) sia nella sezione dedicata alle documentazioni di viaggio - nonché ancora nel cap. 4 dedicato all geografia matematica e nel cap. 5 sulla geografia empirica - rischia di non porre nella dovuta luce il ruolo dello storico nell'indagine sull'ecumene e soprattutto di non evidenziare abbastanza il rapporto che lega il testimone alle sue fonti. E' questo, in effetti, un problema fondamentale per comprendere, ad es., la qualità delle testimonianze riportate dai geografi-storici, come Polibio o Strabone nelle cui opere la geografia politica condiziona la valutazione di geografi scienziati, come Pitea di Massalia e Eratostene di Cirene. Il rischio che deriva da una insufficiente definizione del rapporto testimone-testimonianza è la perdita - o comunque la poca evidenza - di testi frammentari, in particolare quelli dei geografi scienziati. Questo aspetto risulta evidente nel cap. 3, dedicato alla geografia matematica. Qui, infatti, l'autrice cerca di delineare il processo che portò a misurare con metodo geometrico la larghezza e la lunghezza dell'ecumene. Il ruolo di Eratostene a tal proposito è centrale ma nella trattazione risulta poco perspicuo non essendo riportata allo scienziato la testimonianza di Strabone (2,5,14 citata a p. 75) sulla clamide cui era assimilata la forma dell'ecumene e non essendo sottolineata l'importanza di Rodi, più che di Delfi (p. 75), nell'impianto della carta scientifica.

Il rapporto tra l'indagine di Eratostene con quella di Eudosso di Cnido, al quale si deve l'intuizione di una lettura geometrica dello spazio celeste e di quello terrestre attraverso la teoria delle sfere omocentriche, avrebbe meglio spiegato anche il legame che unisce la scienza greca a Platone (citato a p. 77 per il mito di Atlantide) al quale si deve- a detta di Simplicio nel commento al De caelo di Aristotele - il primo impulso alla ricerca delle leggi che governano il cielo e la terra.

Il cap. 4 è dedicato da K. Brodersen alla cartografia e persegue la tesi, già avanzata dall'autore in altri lavori, della impossibilità di ricostruire le carte degli antichi a causa dell'assenza di documenti giuntici, segno non trascurabile di una mentalità che tendeva a descrivere, più che a disegnare il mondo. Si tratta di una concezione che, a partire dal lavoro di Janni (La mappa e il periplo, Roma 1984), diventato canonico, ha avuto fortuna soprattutto a causa della effettiva carenza di documentazione antica. Va detto, altresì, che l'assenza di documentazione sulla carta di Eratostene non dimostra certo l'assenza di quell'elaborato, che per la prima volta nella storia del pensiero geografico "dialogava" con il testo della Geografia in tre libri e che intendeva altresì "correggere" il lavoro dei predecessori: la carta alessandrina si poneva dunque verosimilmente in un rapporto dialettico con le carte che l'avevano preceduta e delle quali intendeva costituire la versione più moderna e aggiornata.

Con il cap. 5, dedicato alla geografia empirica e agli echi di questa nella tradizione letteraria, si chiude il volume che sottolinea la spinta propulsiva data dalla curiosità e dalla necessità alla scoperta di un mondo decritto in opere letterarie e riecheggiato in proverbi che denotano la scarsa conoscenza, ad es. delle aree nordiche, indicate con Ultima Thule. Eppure, proprio in questa espressione virgiliana si coglie in maniera evidente - a mio parere - il percorso accidentato di una ricerca scientifica che aveva scoperto, con Pitea, il circolo artico astronomicamente definito e che era stata censurata da quelle ragioni di stato che impedivano di riconoscere, al tempo di Strabone, l'esistenza di terre non conquistate dai Romani: più che di incapacità di elaborazione di concetti e di teorie da parte di una società pre-moderna come quella greco-romana, mi pare si possa dunque parlare di rapporto conflittuale tra scienza e politica, tema persistente almeno fino a Galileo Galilei.

Per concludere, l'agile libretto di D. Dueck, che comprende una ricca e aggiornata bibliografia, costitisce una sintesi di tematiche inerenti al pensiero geografico antico la cui articolazione e le cui conclusioni sono non sempre condivisibili ma che offre, in ogni caso, un utile sguardo d'insieme sull'approccio con cui i Greci e i Romani guardarono al mondo che li circondava.

Serena Bianchetti